È sufficiente fare una carrellata sulla rete per scovare numerose “perle” di disinformazione, spesso proveniente da chi invece dovrebbe fornire un servizio al cittadino o, peggio ancora, da chi offre la propria “consulenza” in questa materia.
Approssimazione lessicale nel definire l’indennizzo come risarcimento, ostinazione nel ritenere fuori termine domande invece perfettamente tempestive, pressappochismo nel ritenere “guarito” e dunque non meritevole di ascrivibilità tabellare un soggetto, sol perché questi presenta transaminasi perfettamente nella norma.
Come salvarsi da questo caos interpretativo?
Alcune regole “auree” tratte dalla comune esperienza:
- non fidarsi delle considerazioni di chi non è addetto ai lavori ergo, poiché giustamente non si va dall’avvocato per farsi curare l’epatite, non prendere “per oro colato” quanto affermato dai medici sulla possibilità o meno, nel Vostro caso, di ottenere i benefici della legge 210/1992;
- ugualmente non fidarsi di quanto affermano i funzionari pubblici che spesso interpretano in modo troppo letterale quanto stabilito dalle norme.
- affidarsi ad un legale di comprovata esperienza in materia, che “non venda fumo”, ma sappia realisticamente indirizzarvi sulla strada migliore, anche in base all’approfondita conoscenza dei precedenti giurisprudenziali sul punto;
- per la redazione dell’eventuale perizia di parte, necessaria per l’ottenimento dei benefici indennitari, appoggiarsi ad un medico-legale che – per quanto possibile – sia specializzato nella materia del danno epatico. Meglio lascia perdere il professionista esperto in infortunistica stradale, che si limiterà a trasferire nel parere non le sue conoscenze, ma quanto frettolosamente reperito su libri istituzionali su cui molto spesso compaiono valutazioni eccessivamente restrittive dei danni subiti.
Naturalmente le sopra esposte considerazioni valgono, a maggior ragione, anche per l’altra questione del risarcimento del danno biologico da “sangue infetto”.