Con sentenza n.5124 del 15 giugno scorso, passata in giudicato, in un caso seguito dal nostro studio, il Tribunale di Milano ha condannato il MINISTERO DELLA SALUTE a risarcire la moglie la figlia il padre e le sorelle di un giovane deceduto nel 2009 per un importo complessivo pari a circa € 1.500.000,00=.
Di per sé la sentenza non dice nulla di nuovo, innestandosi nel filone ormai consolidato che riconosce la responsabilità ministeriale sin dai primi anni sessanta del secolo scorso ed anche dopo il 1990 per non avere adeguatamente vigilato sul sistema-sangue.
La decisione è per contro assai significativa nella parte in cui, oltre a riconoscere in misura quasi massima gli importi previsti dalle tabelle milanesi per il ristoro del danno parentale, riconosce in misura adeguata anche il c.d. danno patrimoniale da lucro cessante.
Purtroppo, quando in una famiglia viene prematuramente a mancare un genitore, oltre al comprensibile contraccolpo psicologico per il coniuge e per gli eventuali figli, l’evento luttuoso reca con sè gravi problemi di natura economica, legati al venir meno della spesso principale fonte di sostentamento….
Nel caso in esame il Tribunale ha riconosciuto alla moglie ed alla figlia minore un risarcimento pari ad € 422.455,15= corrispondente alla sommatoria degli importi che presumibilmente, sottratta una quota destinata ai propri bisogni personali, il deceduto avrebbe destinato ai bisogni della propria famiglia qualora avesse continuato a lavorare.
Questo il percorso argomentativo seguito dal tribunale:
“In ordine alla domanda formulata per il lamentato danno a titolo di lucro cessante, la stessa, nemmeno specificamente contestata dal Ministero convenuto, nei termini all’uopo previsti, ai sensi e per gli effetti dell’art.115 c.p.c. merita accoglimento nei limiti di seguito indicati.
Com’è noto, il lucro cessante si identifica nel mancato guadagno provocato dall’illecito e che si sarebbe ragionevolmente conseguito in mancanza dell’evento lesivo. Secondo quanto affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (cfr. Cass. civ. 11353/2010).
Nel caso di specie, parte attrice deduce (v. memoria ex art. 183, comma VI, n. 1 c.p.c., p. 13 ss.) che, a causa del peggioramento delle condizioni di salute, il Signor ……….., già titolare di una impresa commerciale nel settore dei serramenti, nel 2001 aveva cessato l’attività autonoma per essere assunto come operaio specializzato presso ………, società di infissi con sede in …………., e che il 06.11.2007 era stato assunto presso la società ……….. ove poter svolgere un’attività lavorativa meno affaticante e più vicina a casa e, infine, che il 5.5.2008 aveva dovuto risolvere il contratto a causa del peggiorare delle condizioni di salute, a seguito di dichiarazione di totale e permanente inabilità al lavoro, certificata il 22.04.2008 (v. doc. 37, fasc. att.): tali circostanze, oltre a non essere state specificamente contestate dalla parte convenuta, sono peraltro state confermate dai testi escussi nel corso del presente giudizio ……
Parte attrice ha altresì dedotto che, per effetto del decesso di ………., il nucleo familiare ha visto venire meno la corresponsione dell’indennizzo , erogato con assegno bimestrale, ex l.210 del 1992 di importo pari a circa Euro 1.500,00, nonché il venire meno dell’assegno di invalidità mensile pari ad Euro 800,00 e, infine, che, stante la morte anticipata del congiunto rispetto alla durata della vita media (ritenuta di 80 anni per ogni individuo di sesso maschile), gli attori assumono che il nucleo familiare – inteso restrittivamente (moglie e figlia) – si sia visto privare per 45 anni di un’entrata di circa Euro 20.000,00 annui (v. docc. nn. 38-42, fasc. att.).
In tema di liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, la Corte di Cassazione ha statuito che “la liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta per la moglie moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie corrispondente all’età del più giovane tra i due; per il figlio in base a un coefficiente di capitalizzazione di una rendita temporanea corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell’uno e nell’altro caso il reddito da porre a base del calcolo deve comunque essere equitativamente aumentato per tenere conto dei presumibili incrementi reddituali che il lavoratore avrebbe ottenuto se fosse rimasto in vita e contemporaneamente ridotto dell’importo pari alla quota di reddito che la vittima avrebbe presumibilmente destinato a sé, al carico fiscale e alle spese per la produzione del reddito” (Cass. civ. n.6619 del 2018, est. Rossetti). La giurisprudenza di legittimità ha chiaramente spiegato che laddove si liquidi il danno predetto in forma di capitale, dovrà procedersi, preliminarmente, alla determinazione del reddito che il defunto percepiva al momento della morte, detrarsi la quota presumibilmente destinata ai propri bisogni o al risparmio (c.d. quota sibi) e, infine, moltiplicare il risultato per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie laddove possa ritenersi che il superstite avrebbe continuato a godere del sostegno economico vita natural durante e in tal caso il coefficiente da scegliere sarà quello corrispondente all’età del più giovane tra superstite e defunto.
Ebbene, applicando tali principi alla fattispecie deve rilevarsi che alla base del calcolo deve essere posto il reddito annuo più alto rispetto a quelli prodotti in giudizio e percepiti negli anni antecedenti all’evento lesivo morte-morte che, nella specie, deve ritenersi pari ad Euro 20.898,83 (v. doc. 40, fasc. att.), relativo all’anno di imposta 2006 allorquando il signor ……….. era dipendente della società ………….
Deve altresì tenersi conto della c.d. quota sibi, ovvero della parte di reddito che verosimilmente il defunto destinava ai propri bisogni che, nella specie, deve essere identificata nella misura di un quarto considerando che il defunto ha lasciato sia il coniuge che una figlia minore di età, come allegato e non contestato.
Pertanto, in applicazione dei predetti principi, utilizzando quale coefficiente di capitalizzazione quello di cui ai Quaderni del C.S.M. (ovvero quelli diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell’Incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno – 1 luglio 1989) ritenuti dalla Suprema Corte (cfr. ex multis Cass. Civ. n. 20615 del 2015) preferibili rispetto a quelli approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, i quali a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e non sono perciò consentiti dalla regola di cui all’art. 1223 c.c., e, nella specie, il coefficiente pari a 26,9524 corrispondente all’età del Signor …………. al momento del decesso (anni 34), di età pari a quella del coniuge superstite; effettuata la moltiplicazione del reddito annuo – ridotto di un quarto tenuto conto della c.d. quota sibi e dunque pari ad Euro 15.674,12 – per tale coefficiente, ne consegue che il danno patrimoniale subito dall’attrice ………, in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore ……., deve essere quantificato, in moneta attuale, in Euro 422.455,15, oltre interessi legali da oggi, giorno della liquidazione, al saldo, trattandosi di liquidazione anticipata del danno. Sulla predetta somma deve essere riconosciuta la maggiorazione per interessi legali ex art. 1282 c.c. dalla presente pronuncia e fino al saldo effettivo.”
Da tale sentenza si traggono a mio parere tre indicazioni.
La prima vuole essere, se vogliamo, anche una piccola autocritica nel senso che, molto spesso, nelle azioni risarcitorie, noi avvocati tendiamo a concentrarci quasi esclusivamente sui pregiudizi di natura non patrimoniale dimenticandoci che spesso i fatti illeciti più gravi recano con sé anche conseguente economiche incalcolabili per il nucleo familiare che ne viene colpito.
La seconda è che tali conseguenze possono trovare un almeno parziale ristoro nelle aule di tribunale soltanto laddove vi sia stretta collaborazione tra i clienti ed il loro difensore nel senso che, evidentemente, il giudice può riconoscere un risarcimento adeguato soltanto se gli vengano per tempo forniti elementi adeguati e circostanziati, dovendosi escludere la possibilità di ottenere un risarcimento anche del danno patrimoniale in presenza di allegazioni puramente generiche.
La terza ed ultima considerazione è che, in molti casi, l’importo di euro 100.000,00= offerto dallo Stato a titolo di equo ristoro a coloro i quali avevano causa pendente alla fine del 2007 ed avevano presentato domanda di transazione entro il gennaio 2010 appare davvero esiguo, per usare un eufemisno, a fronte dei danni, anche collaterali, arrecati dal Ministero della Salute attraverso la propria ultratrentennale mancata vigilanza sulla sicurezza del sistema trasfusionale.
Avv. Simone LAZZARINI
Un giudicato utilissimo soprattutto xche’ fa giurispr