Maggio 6

Dopo oltre 16 anni di battaglie la svolta: il Consiglio di Stato “striglia” finalmente il Ministero della Salute sulla gestione delle transazioni ex legibus nn.222 e 244/2007

Con due fondamentali pronunce ottenute dal nostro studio, la n.3376 del 26 aprile e la n.3533 del 6 maggio 2021, la terza sezione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, occupandosi delle domande di transazione presente da due nostri Clienti, critica pesantemente la condotta dell’Amministrazione nella procedura per le transazioni delle cause promosse da soggetti irreversibilmente danneggiati da epatiti post-trasfusionali e di fatto ordina al commissario ad acta di procedere alla liquidazione dell’importo dovuto.
Le premesse da cui muovono i giudici descrivono un travaglio di oltre 16 anni di contenzioso, nel quale i Clienti, armati di una encomiabile pazienza e forza d’animo, hanno riposto fiducia incondizionata nell’operato dello studio.
I danneggiati, già beneficiari dell’indennizzo di cui alla legge 210/1992, avevano agito giudizialmente nel lontano 2005 contro il MINISTERO DELLA SALUTE al fine di ottenere il giusto risarcimento dei danni subiti.
Successivamente, nel gennaio 2010, avevano presentato – sempre al MINISTERO domanda di transazione ai sensi delle leggi nn.222 e 244/2007, trasmettendo la documentazione richiesta.
Dopo un silenzio di oltre tre anni, nel corso dei quali erano intervenuti individualmente nella class action promossa avanti al TAR Lazio da alcune associazioni di danneggiati per sbloccare la procedura e culminata nella sentenza n.1682/2012, era sopraggiunto un preavviso di rigetto con il quale l’Amministrazione aveva loro comunicato che, “con riferimento alla domanda di adesione alla procedura transattiva indicata in oggetto per l’accesso alla successiva fase di stipula delle singole transazioni si rappresenta che la domanda non è accoglibile in quanto risulta che sia decorso il termine di cui all’art.5 comma 1 lettera a) del D.M. 04.05.2012 ed inoltre non risulta che l’evento trasfusionale rientri nell’ipotesi di cui all’art.5 comma 2 del D.M. 04.05.2012”.
Dopo l’invio di articolate controdeduzioni, da un lato era intervenuta sentenza con la quale il Tribunale di Roma aveva riconosciuto la responsabilità del MINISTERO per l’avvenuto contagio, accertando il loro diritto al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, mentre dall’altro, nell’ottobre 2014, era sopraggiunta invece una nuova comunicazione, a firma del commissario ad acta designato dal TAR Lazio con la sentenza n.4029/2013, intervenuta a seguito della class action amministrativa, con cui si era comunicato che, “con riferimento al preavviso, preso atto che le controdeduzioni presentate dalla S.V. non contengono ulteriori elementi utili ai fini dell’applicazione dell’art.5 c.2 del D.M. 04.05.2012, si rappresenta che la domanda di adesione alla procedura transattiva indicata in oggetto per l’accesso alla successiva fase di stipula delle singole transazione è da ritenersi non accolta”.
In sostanza, mentre si era ritenuto superato il paletto ex art.5 c.1 DM 04.05.2012 (alla luce di quanto dedotto nelle controdeduzioni al preavviso di rigetto e della favorevole sentenza nel frattempo ottenuta dal Tribunale di Roma), si era affermato che la – sola – esistenza di eventi trasfusionali occorsi ante 1978 era di ostacolo al perfezionamento della transazione ex art.5 c.2 DM 04.05.2012.
I danneggiati avevano proposto tempestivo ricorso avverso il provvedimento di non ammissione alla successiva fase di stipula della transazione.
Dopo un primo giudizio negativo avanti al TAR Lazio, annullato dal Consiglio di Stato nel 2015, il ricorso era stato nuovamente riassunto avanti al TAR Lazio che, con sentenza n.10156 del 10.10.2017, passata in giudicato, aveva annullato la disposta esclusione stabilendo inoltre che la decisione fosse comunicata anche al commissario ad acta, il quale aveva sottoscritto i provvedimenti di esclusione annullati.
Sennonché, in perdurante assenza di comunicazioni da parte del commissario ad acta che recepissero quanto stabilito in sentenza (e dunque, essendo venuto meno anche il secondo degli elementi ostativi indicati nell’originario preavviso di rigetto, che li ammettessero alla successiva fase di stipula della transazioni, nell’agosto 2018 avevano inoltrato diffida stragiudiziale a voler riscontrare in via definitiva la propria domanda di adesione e ad adottare i provvedimenti conseguenti richiesti, entro e non oltre il termine di 30 giorni.
Anche tale termine era decorso infruttuosamente ma, soprattutto, era spirato anche il termine per eventualmente accedere al beneficio della c.d. “equa riparazione” di cui all’art.27bis del dl 24.06.2014, n.90, convertito dalla l. 11.08.2014, n.114, termine che, originariamente fissato dal legislatore al 31.12.2017, era stato prorogato al 31.12.2018 ai sensi dell’art.1 c.1141, lett.a) della l. 27.12.2017, n.205.
Dopo la notifica di un nuovo ricorso per ottemperanza, era sorprendentemente sopraggiunto, senza preliminare comunicazione ex art.10bis l.241/90, il rigetto definitivo della domanda di transazione.
Con tale comunicazione il MINISTERO aveva affermato che, “con riferimento alla domanda di adesione indicata in oggetto, per l’accesso alla successiva fase di stipula delle singole transazioni si conferma che la predetta domanda non è accoglibile, in quanto risulta essere decorso il termine di cui all’art.5 c.1 lett. a) del D.M. 04.05.2012 – conformemente a quanto ritenuto dall’Avvocatura Generale dello Stato nel parere reso a seguito della formale richiesta dello scrivente – considerato che, allo stato non risulta esservi un atto interruttivo del termine di prescrizione”.
I danneggiati impugnavano in un primo tempo il diniego, ma il TAR Lazio rigettava il loro ricorso.
I clienti non si perdevano d’animo e si rivolgevano nuovamente al Consiglio di Stato che ribaltava completamente la decisione di primo grado mettendo probabilmente fine ad un calvario di oltre 15 anni e ad una serie infinita di ricorsi.
Sul piano metodologico, i giudici di appello hanno anzitutto osservato che l’esame dei motivi d’impugnazione deve seguire un “criterio di efficacia sostanziale del principio costituzionale di tutela giurisdizionale”, e deve pertanto prendere avvio dalle censure “volte a far valere la fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio” ed “estendersi alle altre, volte invece a far valere solo la illegittimità o finanche la nullità del diniego, solo nel caso in cui le prime non si rivelino fondate”.
Sulla scorta di tali condivisibili premesse, volte a rendere finalmente effettivo il precetto ex art.1 c.p.a., il CdS ha ritenuto l’impugnazione fondata “relativamente alle censure concernenti il mancato apprezzamento, da parte del TAR, dei motivi del ricorso di primo grado volti a far valere la violazione di legge e del giudicato, l’irragionevolezza, la intrinseca contraddittorietà e quindi la manifesta ingiustizia dell’impugnato diniego, illegittimamente adottato, in violazione dei fondamentali principi di tutela dell’affidamento e della buona fede connaturati all’ordinamento nazionale e comunitario, sull’erroneo presupposto della carenza di due dei prescritti requisiti”.
Proseguendo nell’esame dei motivi di gravame, il Collegio ha rilevato che, “indipendentemente da ogni valutazione circa le opposte deduzioni concernenti la mancata eccezione di prescrizione da parte dell’Amministrazione nel primo giudizio instauratosi davanti al giudice civile e circa il valore interruttivo da riconoscere, secondo un criterio di buona fede, alla volontà espressa nei molteplici atti adottati dall’interessato al fine di accedere al previsto indennizzoi “plurimi interventi legislativi”, previsti e disciplinati ex legibus n.222/2007, art.33 e n.244/2007, art.2, c.360, “rispondono …… ad una evidente ratio equitativa volta a contenere il conseguente – imponente e finanziariamente molto oneroso – contenzioso risarcitorio ….”.
Pertanto, secondo il CdS, “il giudice amministrativo deve prendere atto dell’avvenuto conferimento, all’Amministrazione, di una potestà pubblicistica, e quindi del potere-dovere di ristorare il danno indebitamente subito dai pazienti emotrasfusi, anche stipulando una transazione con ogni soggetto richiedente qualora lo stesso risulti oggettivamente compreso fra quelli danneggiati ed abbia formulato “domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 ss. c.c.” ovvero abbia presentato “domanda di adesione alla procedura transattiva, di cui alla l. 244 del 2007, entro il 19 gennaio 2010”.
E ancora: “alla luce della predetta previsione di legge speciale, risulta evidentemente ultroneo ogni diverso ed ulteriore limite prescrizionale o temporale previsto dalla normativa codicistica, discendendone la impossibilità di applicare la ordinaria disciplina prescrizionale per la parte in cui ciò impedirebbe di dare attuazione al chiaro disposto della citata previsione di legge speciale”, con la conseguenza che, da un lato, “in presenza di una domanda di risarcimento ex art.2043 c.c. ritualmente proposta (e peraltro accolta dal Tribunale civile di primo grado) e di plurime domande di indennizzo reiteratamente proposte dall’interessato già prima dell’azione in giudizio, la previsione di cui al D.M. 04.05.2012, art.5, comma 1, lett.a), non poteva ritenersi ostativa alla stipula della richiesta transazione mediante il richiamo a termini prescrizionali in realtà non applicabili alla fattispecie in esame” e, dall’altro “non è quindi possibile individuare particolari ragioni ostative … al fine di giustificare la non ammissione dell’appellante alla procedura transattiva”.
Queste, infine, le conclusioni rassegnate dai giudici di Palazzo Spada: “I tempi e le modalità del diniego, opposto dopo il decorso dei previsti termini procedimentali e pur dopo plurime pronunce del giudice civile e di quello amministrativo, anche in sede di ottemperanza, di accoglimento della domanda di ammissione dell’appellante, indipendentemente da ogni ulteriore valutazione di legittimità hanno poi determinato una situazione oggettivamente idonea a generare e poi violare un legittimo affidamento dell’appellante circa il buon esito della propria domanda …….. concretando il dedotto vizio di violazione del principio di buona fede di tutela dell’affidamento.
Dalle pregresse considerazioni emerge l’irragionevolezza e contraddittorietà dell’azione del Ministero intimato, essendo state messe in atto attività non coerenti con la necessità di realizzazione di interessi meritevoli quali quello di un malato talassemico, affetta da patologie causate dal sangue infetto trasfusogli, ad accedere alla procedura transattiva nel rispetto delle competenze e delle procedure espressamente previste dalla vigente legislazione. La descritta irragionevolezza dell’impugnato provvedimento e la conseguente ingiustizia delle sue conseguenze per l’appellante determinano altresì un giudizio di sviamento dalle funzioni istituzionali attribuite al Ministero dalle citate disposizioni di legge e di violazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art.97 Cost. nonché del generalissimo principio dell’ordinamento nazionale e di quello euro unitario di tutela dell’affidamento dell’appellante. Al riguardo, deve essere infine segnalato che questa stessa Sezione, con sentenza del 7 gennaio 2021, n.232, ha accolto un ricorso collettivo di tenore analogo a quello del ricorso in esame, e per l’effetto ha ordinato al commissario ad acta già nominato “il riesame delle domande dei ricorrenti volte all’adesione alla procedura transattiva, superato l’ormai illegittimo parametro temporale alla stregua del quale non hanno accesso alla predetta procedura coloro per i quali risulti un evento trasfusionale anteriore al 24 luglio 1978”.
In conclusione, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza deve essere accolto il ricorso di primo grado, dichiarando la nullità del diniego.
Ne consegue l’obbligo del nominato commissario ad acta di riesaminare la domanda dell’odierno appellante, ammettendolo alla procedura transattiva ai fini della corresponsione del previsto indennizzo, maggiorato degli interessi moratori quale importo forfettario di risarcimento del danno derivante dal colpevole ritardo dell’amministrazione, ove non risultino motivati profili ostativi specificamente riferiti alla carenza di requisiti soggettivi del singolo richiedente diversi da quelli fatti oggetto del presente contenzioso”.

 

Sentenza del Consiglio di Stato n. 3376 del 26.04.2021

Sentenza del Consiglio di Stato n. 3533 del 06.05.2021

Ottobre 28

Risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante in favore degli eredi di soggetto danneggiato da trasfusioni: dal Tribunale di Milano finalmente una condanna esemplare per il Ministero della Salute

Con sentenza n.5124 del 15 giugno scorso, passata in giudicato, in un caso seguito dal nostro studio, il Tribunale di Milano ha condannato il MINISTERO DELLA SALUTE a risarcire la moglie la figlia il padre e le sorelle di un giovane deceduto nel 2009 per un importo complessivo pari a circa € 1.500.000,00=.
Di per sé la sentenza non dice nulla di nuovo, innestandosi nel filone ormai consolidato che riconosce la responsabilità ministeriale sin dai primi anni sessanta del secolo scorso ed anche dopo il 1990 per non avere adeguatamente vigilato sul sistema-sangue.
La decisione è per contro assai significativa nella parte in cui, oltre a riconoscere in misura quasi massima gli importi previsti dalle tabelle milanesi per il ristoro del danno parentale, riconosce in misura adeguata anche il c.d. danno patrimoniale da lucro cessante.
Purtroppo, quando in una famiglia viene prematuramente a mancare un genitore, oltre al comprensibile contraccolpo psicologico per il coniuge e per gli eventuali figli, l’evento luttuoso reca con sè gravi problemi di natura economica, legati al venir meno della spesso principale fonte di sostentamento….
Nel caso in esame il Tribunale ha riconosciuto alla moglie ed alla figlia minore un risarcimento pari ad € 422.455,15= corrispondente alla sommatoria degli importi che presumibilmente, sottratta una quota destinata ai propri bisogni personali, il deceduto avrebbe destinato ai bisogni della propria famiglia qualora avesse continuato a lavorare.
Questo il percorso argomentativo seguito dal tribunale:

“In ordine alla domanda formulata per il lamentato danno a titolo di lucro cessante, la stessa, nemmeno specificamente contestata dal Ministero convenuto, nei termini all’uopo previsti, ai sensi e per gli effetti dell’art.115 c.p.c. merita accoglimento nei limiti di seguito indicati.
Com’è noto, il lucro cessante si identifica nel mancato guadagno provocato dall’illecito e che si sarebbe ragionevolmente conseguito in mancanza dell’evento lesivo. Secondo quanto affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (cfr. Cass. civ. 11353/2010).
Nel caso di specie, parte attrice deduce (v. memoria ex art. 183, comma VI, n. 1 c.p.c., p. 13 ss.) che, a causa del peggioramento delle condizioni di salute, il Signor ……….., già titolare di una impresa commerciale nel settore dei serramenti, nel 2001 aveva cessato l’attività autonoma per essere assunto come operaio specializzato presso ………, società di infissi con sede in …………., e che il 06.11.2007 era stato assunto presso la società ……….. ove poter svolgere un’attività lavorativa meno affaticante e più vicina a casa e, infine, che il 5.5.2008 aveva dovuto risolvere il contratto a causa del peggiorare delle condizioni di salute, a seguito di dichiarazione di totale e permanente inabilità al lavoro, certificata il 22.04.2008 (v. doc. 37, fasc. att.): tali circostanze, oltre a non essere state specificamente contestate dalla parte convenuta, sono peraltro state confermate dai testi escussi nel corso del presente giudizio ……
Parte attrice ha altresì dedotto che, per effetto del decesso di ………., il nucleo familiare ha visto venire meno la corresponsione dell’indennizzo , erogato con assegno bimestrale, ex l.210 del 1992 di importo pari a circa Euro 1.500,00, nonché il venire meno dell’assegno di invalidità mensile pari ad Euro 800,00 e, infine, che, stante la morte anticipata del congiunto rispetto alla durata della vita media (ritenuta di 80 anni per ogni individuo di sesso maschile), gli attori assumono che il nucleo familiare – inteso restrittivamente (moglie e figlia) – si sia visto privare per 45 anni di un’entrata di circa Euro 20.000,00 annui (v. docc. nn. 38-42, fasc. att.).
In tema di liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, la Corte di Cassazione ha statuito che “la liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta per la moglie moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie corrispondente all’età del più giovane tra i due; per il figlio in base a un coefficiente di capitalizzazione di una rendita temporanea corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell’uno e nell’altro caso il reddito da porre a base del calcolo deve comunque essere equitativamente aumentato per tenere conto dei presumibili incrementi reddituali che il lavoratore avrebbe ottenuto se fosse rimasto in vita e contemporaneamente ridotto dell’importo pari alla quota di reddito che la vittima avrebbe presumibilmente destinato a sé, al carico fiscale e alle spese per la produzione del reddito” (Cass. civ. n.6619 del 2018, est. Rossetti). La giurisprudenza di legittimità ha chiaramente spiegato che laddove si liquidi il danno predetto in forma di capitale, dovrà procedersi, preliminarmente, alla determinazione del reddito che il defunto percepiva al momento della morte, detrarsi la quota presumibilmente destinata ai propri bisogni o al risparmio (c.d. quota sibi) e, infine, moltiplicare il risultato per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie laddove possa ritenersi che il superstite avrebbe continuato a godere del sostegno economico vita natural durante e in tal caso il coefficiente da scegliere sarà quello corrispondente all’età del più giovane tra superstite e defunto.
Ebbene, applicando tali principi alla fattispecie deve rilevarsi che alla base del calcolo deve essere posto il reddito annuo più alto rispetto a quelli prodotti in giudizio e percepiti negli anni antecedenti all’evento lesivo morte-morte che, nella specie, deve ritenersi pari ad Euro 20.898,83 (v. doc. 40, fasc. att.), relativo all’anno di imposta 2006 allorquando il signor ……….. era dipendente della società ………….
Deve altresì tenersi conto della c.d. quota sibi, ovvero della parte di reddito che verosimilmente il defunto destinava ai propri bisogni che, nella specie, deve essere identificata nella misura di un quarto considerando che il defunto ha lasciato sia il coniuge che una figlia minore di età, come allegato e non contestato.
Pertanto, in applicazione dei predetti principi, utilizzando quale coefficiente di capitalizzazione quello di cui ai Quaderni del C.S.M. (ovvero quelli diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell’Incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno – 1 luglio 1989) ritenuti dalla Suprema Corte (cfr. ex multis Cass. Civ. n. 20615 del 2015) preferibili rispetto a quelli approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, i quali a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e non sono perciò consentiti dalla regola di cui all’art. 1223 c.c., e, nella specie, il coefficiente pari a 26,9524 corrispondente all’età del Signor …………. al momento del decesso (anni 34), di età pari a quella del coniuge superstite; effettuata la moltiplicazione del reddito annuo – ridotto di un quarto tenuto conto della c.d. quota sibi e dunque pari ad Euro 15.674,12 – per tale coefficiente, ne consegue che il danno patrimoniale subito dall’attrice ………, in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore ……., deve essere quantificato, in moneta attuale, in Euro 422.455,15, oltre interessi legali da oggi, giorno della liquidazione, al saldo, trattandosi di liquidazione anticipata del danno. Sulla predetta somma deve essere riconosciuta la maggiorazione per interessi legali ex art. 1282 c.c. dalla presente pronuncia e fino al saldo effettivo.”

Da tale sentenza si traggono a mio parere tre indicazioni.
La prima vuole essere, se vogliamo, anche una piccola autocritica nel senso che, molto spesso, nelle azioni risarcitorie, noi avvocati tendiamo a concentrarci quasi esclusivamente sui pregiudizi di natura non patrimoniale dimenticandoci che spesso i fatti illeciti più gravi recano con sé anche conseguente economiche incalcolabili per il nucleo familiare che ne viene colpito.
La seconda è che tali conseguenze possono trovare un almeno parziale ristoro nelle aule di tribunale soltanto laddove vi sia stretta collaborazione tra i clienti ed il loro difensore nel senso che, evidentemente, il giudice può riconoscere un risarcimento adeguato soltanto se gli vengano per tempo forniti elementi adeguati e circostanziati, dovendosi escludere la possibilità di ottenere un risarcimento anche del danno patrimoniale in presenza di allegazioni puramente generiche.
La terza ed ultima considerazione è che, in molti casi, l’importo di euro 100.000,00= offerto dallo Stato a titolo di equo ristoro a coloro i quali avevano causa pendente alla fine del 2007 ed avevano presentato domanda di transazione entro il gennaio 2010 appare davvero esiguo, per usare un eufemisno, a fronte dei danni, anche collaterali, arrecati dal Ministero della Salute attraverso la propria ultratrentennale mancata vigilanza sulla sicurezza del sistema trasfusionale.

Avv. Simone LAZZARINI

Ottobre 5

Transazioni per i danneggiati da sangue infetto: il Consiglio di Stato traccia definitivamente la strada. Se non c’è preclusione normativa il Ministero non può rifiutarsi di transare

Con una importante ordinanza pubblicata lo scorso 29 settembre (la n. 5361/2021) la terza sezione del Consiglio di Stato è tornata ad occuparsi dell’annosa questione delle transazioni.
Dopo la pubblicazione delle sentenze n. 3376, 3533, 3698 e 5191, tutte favorevoli alle ragioni dei danneggiati nostri assistiti, questa volta si discuteva della domanda di sospensione dell’efficacia esecutiva di una sentenza con la quale il TAR Calabria, annullando l’esclusione dalla successiva fase di stipula della transazione, aveva ordinato al Ministero della Salute di riesaminare la posizione di un danneggiato assistito dallo studio.
L’Amministrazione, non paga della durata ultradecennale della procedura transattiva, aveva richiesto un provvedimento urgente lamentando il rischio di non essere altrimenti libero di determinarsi, non potendo in particolare escludere il danneggiato in base alla maturata prescrizione del suo diritto al risarcimento del danno.
Trancianti le conclusioni dei giudici di Palazzo Spada, che riportiamo integralmente:

“-L’appellante, affetto da thalassemia major e da HCV, infezione contratta a causa di trasfusioni di sangue non adeguatamente controllate, spiegava intervento adesivo nel giudizio risarcitorio promosso avanti al Tribunale di Roma da numerosi soggetti, anch’essi danneggiati da trasfusioni di sangue infetto;
-In data 27.11.2009, dopo numerosi rinvii in vista di possibili soluzioni transattive, l’interessato chiedeva di aderire alla transazione dell’azione giudiziaria ai sensi dell’art.33 della l. 22.11.2007, n.222, nonché dell’art.2, cc.361-365, della l. 24.12.2007, n.244;
-Nelle more della decisione sulla sua domanda, il TAR del Lazio. ……. ordinava al Ministero “di pronunciarsi, con provvedimento espresso, sulle domande di adesione alla transazione presentate dai ricorrenti entro 90 giorni”;
-Nel frattempo, il Tribunale di Roma …….. accertava il diritto al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio;
-Proseguendo il ritardo nella definizione procedure risarcitorie la CEDU con la sentenza del 14.01.2016, sanciva l’obbligo dello Stato italiano di concludere le procedure entro il 31.12.2017;
-Il Ministero ……….rispondeva che “che la domanda di adesione alla procedura transattiva indicata in oggetto non può essere accolta, in quanto risulta decorso il termine di cui all’art.5 comma 1 lettera a) del D.M. 4 maggio 2012”;
– Il TAR della Calabria, sede di Catanzaro, accoglieva infine il proposto ricorso con l’appellata sentenza , che appare immune dalle censure dedotte dal Ministero appellante;
-In particolare le medesime censure sono già state respinte in relazione a numerosi analoghi contenziosi, avendo il Consiglio di Stato statuito che “nonostante la specificità dei due procedimenti, quello diretto al risarcimento del danno e quello relativo all’ammissione alla transazione, rientranti nell’ambito di giurisdizioni diverse, nondimeno sussiste un evidente collegamento tra i due procedimenti” e che, “sebbene sia condivisibile, in astratto, il principio secondo cui la transazione costituisce una scelta e non un obbligo per la P.A., nondimeno tale principio va considerato alla luce della peculiarità della presente controversia; la vicenda dei danni derivanti da emotrasfusione o da emoderivati ha interessato una moltitudine di persone ed è stata causata dalla previsione, da parte del Ministero dalla Salute, di misure rivelatesi inadeguate ad evitare il rischio di contagio: il legislatore ha chiaramente espresso la volontà di definire in via transattiva questo genere di controversie, anziché portarle avanti per anni dinanzi ai Tribunali, con la conseguenza che l’Amministrazione non può liberamente decidere se avvalersi di tale strumento, essendo tenuta a verificare caso per caso se sussistono i presupposti previsti dalla legge per farvi ricorso, potendo esimersi dal ricorrervi solo quando sussista una preclusione normativa” (Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 2021, n. 3698);
-L’appello deve pertanto essere respinto, conseguendone la piena esecutività della sentenza appellata;
– Alla luce del descritto andamento del contenzioso in esame e delle pregresse considerazioni le spese devono essere addebitate al Ministero appellante nella misura liquidata in dispositivo;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
Respinge l’istanza cautelare (Ricorso numero: 7477/2021).
Condanna il Ministero appellante alle spese della presente fase cautelare, che liquida in Euro 8.000,00 (ottomila) oltre ad IVA, CPA ed accessori di legge”

Detto in parole più semplici, fuori dai casi in cui è stato lo stesso legislatore, con le leggi nn.222 e 244/2007 ad escludere la possibilità di transare, il Ministero della Salute, con propri provvedimenti e/o comportamenti, non poteva arbitrariamente negare l’accesso alla transazione.

La soddisfazione per l’ennesimo risultato favorevole ottenuto in favore di chi ha scelto di andare sino in fondo e per l’integrale condivisione, da parte dei giudici amministrativi, delle nostre argomentazioni difensive, volte a dare un senso logico a quanto stabilito dal legislatore ormai quasi 15 anni fa, si mescola al rammarico rappresentato dal fatto che, qualora tali ripetute prese di posizione della magistratura amministrativa fossero intervenute qualche anno prima, verosimilmente diverse sarebbero state le scelte di molti danneggiati, che non si sarebbero accontentati della c.d. equa riparazione, ma sarebbero andati oltre.

Maggio 12

Il Consiglio di Stato sconfessa nuovamente, e per la terza volta in pochi giorni, l’operato del Ministero della Salute sulle transazioni ex legibus nn. 222 e 244/2007: tutto da rifare

Con sentenza n.3698, pubblicata l’11 maggio 2021, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, bacchetta nuovamente il MINISTERO DELLA SALUTE, ordinandogli di riesaminare la domanda di ammissione alle transazioni ex legibus nn.222 e 244/2007 presentata nel 2010 da una nostra assistita.

Il caso risolto è in parte diverso da quelli esaminati con le precedenti due altre sentenze su cui avevamo scritto qualche giorno fa.

In estrema sintesi nel caso deciso ieri il Consiglio di Stato ha affermato che, nel caso in cui il danneggiato, dopo aver agito per il risarcimento dei danni da trasfusioni di sangue infetto entro il 31.12.2007 ed aver presentato domanda di accesso alla transazione entro il 19.01.2010, abbia ottenuto una sentenza civile che accerti il suo diritto al risarcimento del danno, la cui efficacia esecutiva non sia mai stata sospesa, pur in pendenza di appello), considerato che il sistema delle transazioni è stato concepito in funzione risolutiva del contenzioso risarcitorio, il MINISTERO DELLA SALUTE non può limitarsi a richiamare l’art.5 comma 1 lettera a) del decreto moduli (norma che postula il mancato decorso del termine di prescrizione quinquennale tra la data di presentazione della domanda di indennizzo ex lege 210/1992 e la data di notifica dell’atto di citazione dell’azione risarcitoria) ma deve al contrario parametrare le condizioni di ammissibilità e di tempestività delle domande transattive alla situazione del contenzioso in essere.

Sussiste infatti un evidente collegamento tra i due procedimenti, tanto è vero che l’accesso alla transazione è condizionato alla pendenza del giudizio risarcitorio.

Nel caso che occupa, in aggiunta, il soggetto danneggiato aveva anche precisato che pur essendo stata appellata la sentenza del tribunale di Roma, il MINISTERO DELLA SALUTE era decaduto dalla possibilità di eccepire la prescrizione, non sollevata tempestivamente nel giudizio di primo grado.

Se è vero che, in linea generale, la transazione costituisce una scelta e non un obbligo per la P.A., nondimeno “tale principio va considerato alla luce della peculiarità della presente controversia; la vicenda dei danni derivanti da emotrasfusione o da emoderivati ha interessato una moltitudine di persone ed è stata causata dalla previsione, da parte del Ministero dalla Salute, di misure rivelatesi inadeguate ad evitare il rischio di contagio: il legislatore ha chiaramente espresso la volontà di definire in via transattiva questo genere di controversie, anziché portarle avanti per anni dinanzi ai Tribunali, con la conseguenza che l’Amministrazione non può liberamente decidere se avvalersi di tale strumento, essendo tenuta a verificare caso per caso se sussistono i presupposti previsti dalla legge per farvi ricorso, potendo esimersi dal ricorrervi solo quando sussista una preclusione normativa”.

Considerato inoltre che il danneggiato ha fornito “seri principi di prova secondo cui, in situazioni identiche a quella in questione la transazione sarebbe stata stipulata” ben si comprende come “il diniego di ammissione alla transazione, reso in relazione ad una controversia che riveste carattere etico, nella quale viene in rilievo la lesione di diritti fondamentali, deve essere frutto di una approfondita istruttoria e di una adeguata motivazione”.

Per tali ragioni il MINISTERO dovrà riesaminare la domanda di ammissione alla transazione presentata dell’appellante tenendo conto dei principi espressi in motivazione.

 

Sentenza del Consiglio di Stato n. 3698 dell’11.05.2021

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