Con sentenza parziale depositata il 22 giugno 2016 il Tribunale di Milano ha stabilito che lo stato di alterazione psico-fisica del conducente di un motociclo non è idoneo a fondare neppure un concorso di colpa qualora il conducente dell’altro veicolo incidentato, pur avendo azionato l’indicatore di direzione, abbia posto in essere una manovra repentina (nella fattispecie trattavasi di svolta a sinistra così tagliando la strada a moto in fase di sorpasso).
Affermata pertanto l’esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro da parte del conducente dell’auto, è stata disposta CTU medico-legale per la determinazione del quantum debeatur
Anche il Tribunale di Milano conferma la responsabilità del Ministero della salute per trasfusioni di sangue infetto somministrate prima del 1978 – No allo scomputo dell’indennizzo ex lege 210/1992 senza la prova rigorosa (che spetta al Ministero fornire) di quanto percepito
Con sentenza n.7702 del 21 giugno 2016, il Tribunale di Milano ha nuovamente ribadito la responsabilità del Ministero per trasfusioni di sangue infetto anche per eventi trasfusionali antecedenti al 1978, condannando l’Amministrazione a risarcire in misura pari ad oltre euro 730.000,00= gli eredi di un soggetto deceduto.
La tesi sostenuta dal tribunale meneghino, secondo cui anche ben prima dell’isolamento del virus dell’HCV erano pienamente esigibili dall’Amministrazione obblighi di vigilanza, appare in linea con la giurisprudenza assolutamente maggioritaria, tanto di legittimità (da ultimo vedasi le sentenze n.2232 e n.11792/2016), quanto di merito.
Ad opinione di chi scrive è anzi proprio la paziente e capillare disamina di quest’ultima giurisprudenza a offrire spunti ancora più confortanti a sostegno della tesi sulla “retrodatabilità” della responsabilità ministeriale non soltanto per numerosità, ma anche per contenuti.
Infatti, oltre al foro “milanese” (di cui ricordiamo, ex plurimis, le sentenze del Tribunale n.13246/2015 e 5801/2012), anche altri fori hanno nella sostanza condiviso tali argomentazioni, con le seguenti sentenze:
Tribunale di Bari, n.170/2014 e n.3203/2015, in relazione a trasfusioni somministrate, rispettivamente, tra il novembre 1975 ed il settembre 1976 e nell’aprile 1977;
Tribunale di Caltanissetta, n.234/2015), in relazione a trasfusioni somministrate nel luglio 1972;
Tribunale di Catania, n.718, n.2712 e n.3117/2016, in relazione a trasfusioni somministrate, rispettivamente, nel novembre-dicembre 1968, nell’agosto 1975 e nel 1974;
Corte d’Appello di Catania, n.268/2016, in relazione a trasfusioni somministrate nel maggio-giugno 1967;
Tribunale di Catanzaro, n.816/2015, in relazione a trasfusioni somministrate nel 1973;
Tribunale di Firenze, n.509, n.1339, n. 1617 e n. 3500/2013, n.2740/2014, n.76 e n.2056/2015, in relazione a trasfusioni somministrate, rispettivamente, nel maggio 1971, tra il gennaio ed il settembre 1971, nell’aprile 1977, nell’aprile 1975, nell’ottobre 1977, nel luglio 1968 e nel 1975;
Corte d’Appello di Firenze, n.1837 e n.1838/2015, in relazione a trasfusioni somministrate, rispettivamente, nel 1976 e nel maggio 1971;
Tribunale dell’Aquila n.824/2014 (poi confermata da Corte d’Appello dell’Aquila, n.206/2016) con la quale, avuto riguardo ad una trasfusione occorsa addirittura nel 1965, si osserva acutamente che “è senz’altro da ammettere che il sangue e gli emoderivati utilizzati non siano stati sottoposti alle preventive indagini di laboratorio successivamente codificate ed atte a valutare l’assenza di agenti patogeni infettanti quali l’epatite C all’epoca ancora non identificato”, “non è altresì noto se i prodotti utilizzati siano stati sottoposti al dosaggio dell’enzima ALT.., scoperto …sin dal 1955 e… commercializzati in Italia già nel 1964” e raccomandato dal Ministero con la circolare n. 50 del 28.3.66”. Si sottolinea altresì che già all’inizio degli anni sessanta numerosi grandi Centri Trasfusionali dosavano i livelli delle transaminasi nelle sacche ematiche che venivano allestite e conservate per l’utilizzo mentre i centri più piccoli “non erano ancora adeguatamente attrezzati per rilevare in via indiretta, ossia con i cosiddetti test surrogati, l’eventuale presenza di virus epatici in ragione della citolisi dagli stessi indotta. Censurabile è infine lo stesso ritardo del Ministero nell’emanazione della circolare n. 50 del 1966 a fronte delle conoscenze scientifiche e della commercializzazione di prodotti per il rilevamento dell’aumento delle transaminasi già nel 1964.
Tribunale di Napoli, n.6354/2014, in relazione a trasfusioni somministrate nell’aprile 1976;
Tribunale di Palermo, n.2678/2014, n.3640, n.5355, n.6726 e n.6810/2015, in relazione a trasfusioni somministrate rispettivamente, nel 1969, nel 1971, nel 1977, nel 1971 e nell’agosto 1970;
Corte d’Appello di Venezia, n.444/2016, in relazione a trasfusioni somministrate nell’aprile 1977;
Tribunale di Roma, n. 10448 e n.23474/2014, n. 1838, n.4900, n.5155, n.10335, n.12723, n.13182, n.14184, n.20264, n.21035 e n.23728/2015, n.1385, n.5243, n.7180, n.8418 e n.10650/2016, in relazione a trasfusioni somministrate, rispettivamente, nel dicembre 1968, nel 1971, nel 1974-1975, nell’ottobre 1972, nel 1975, nel 1969, nel giugno 1973, nel settembre 1974, nell’aprile-maggio 1977, nel dicembre 1971, nel dicembre 1975-gennaio 1976, tra l’ottobre 1974 ed il marzo 1975, nell’ottobre 1974, nel luglio 1972, tra il gennaio e l’aprile 1976 e tra il dicembre 1969 ed il gennaio 1970 e, infine, nell’ottobre 1966.
Tribunale di Torino, sentenza n.2371/2015, riguardante un caso di trasfusione del 1967.
La freschissima sentenza del tribunale di Milano appare ulteriormente significativa perché, nel caso di un soggetto deceduto, nella liquidazione del danno iure hereditatis, valorizza il c.d. “danno terminale”, andando oltre la rigida applicazione dei valori tabellari previsti per il risarcimento dell’invalidità temporanea e perché, nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale alla sorella per la morte del fratello personalizza la liquidazione del danno ben oltre le tabelle milanesi.
Da segnalare, infine, la scelta del giudice di non operare alcuno scomputo, dal quantum risarcibile, dell’indennizzo ex lege 210/92 eventualmente percepito “non avendo il Ministero offerto idonea prova delle somme erogate al danneggiato ed agli attori ex lege n. 210 del 1992, essendosi l’amministrazione convenuta meramente limitata ad allegare la predetta istanza senza fornire alcun dato quantitativo accompagnato dai rispettivi riferimenti cronologici in ordine alle singole erogazioni del predetto indennizzo.”
Il Tar Lombardia, sede di Milano, ordina al Ministero della Salute di ottemperare a sette sentenze in materia di indennizzo ex lege 210/1992 e di risarcimento del danno biologico
Continua, seriale ed incomprensibile, l’inerzia del Ministero della Salute che, nonostante le numerose sentenze di condanna, non provvede spontaneamente all’adempimento delle stesse in favore dei danneggiati.
E continua, senza sosta, la nostra battaglia per rendere effettiva la tutela assistenziale e risarcitoria in favore dei nostri assistiti.
Nella sola giornata di oggi, 23 maggio 2016, il TAR Lombardia, Sede di Milano, ha pubblicato ben sette sentenze con le quali ha ordinato al Ministero della Salute:
di corrispondere gli arretrati maturati a titolo di rivalutazione Istat secondo il tip maturati anche sulla somma corrispondente all’indennità integrativa speciale che compone l’assegno bimestrale di cui alla legge 210/1992 (4 casi, definiti con le sentenze nn.1005, 1007, 1014 e 1016);
di corrispondere l’assegno una tantum al marito di una danneggiata, in vita affetta da thalassemia major, deceduta a causa dell’aggravarsi della patologia epatica contratta in conseguenza delle trasfusioni (1 caso, definito con sentenza n.1013/2016);
di corrispondere l’indennizzo ex lege 210/1992, correttamente rivalutato, ad una danneggiata, trasfusa occasionale (1 caso, definito con sentenza n.1006/2016);
di corrispondere il risarcimento del danno, ammontante complessivamente a circa € 220.000,00=, ad un danneggiato, thalassemico major, purtroppo affetto da infezione hcv cronicizzatasi, contratta in conseguenza delle trasfusioni di sangue subite (1 caso, definito con sentenza n.1015/2016).
In tutti i casi si tratta di sentenze di due, tre o addirittura quattro anni fa per il cui adempimento il Tar ha ordinato il pagamento del dovuto entro 60 giorni nominando sin d’ora, per il caso di ulteriore inadempienza, un commissario ad acta che dovrà provvedere nei 60 giorni successivi.
I giudici amministrativi hanno anche stabilito che, dalla data di comunicazione della sentenza in via amministrativa, sia dovuta una penalità di mora, calcolata nella misura degli interessi legali per ogni giorno di ritardo nell’integrale adempimento della sentenza.
Francamente si continua ad ignorare il motivo per il quale, in spregio a tutti gli ammonimenti anche sovranazionali in punto di eccessiva durata dei giudizi civili, continui a rimandarsi un ormai non più differibile adeguamento numerico del personale preposto alla liquidazione delle varie sentenze presso il Ministero della Salute.
I diritti dei danneggiati non possono attendere anni e, come insegna la Corte Europea, un ritardo di oltre sei mesi da parte dello Stato nel dare esecuzione alle sentenze di condanna non è in alcun modo giustificabile, a maggior ragione se, per far valere le proprie ragioni, già pacificamente accertate con sentenza passata in giudicato, l’interessato è costretto a promuovere una nuova ed ulteriore iniziativa legale.
Legge 210/1992: anche il Tribunale di Pavia conferma. La decorrenza del termine decadenziale di 3 anni scatta soltanto da quando il danneggiato è consapevole dell’origine post-trasfusionale della malattia
Con sentenza n.186/2016, pubblicata il 10 maggio u.s., il Tribunale di Pavia, Sezione Lavoro, ha riconosciuto il diritto all’indennizzo ex lege 210/1992 in favore di una danneggiata, trasfusa occasionale assistita dal nostro studio, riconoscendo che il danno subito andava ricollegato alle trasfusioni di sangue somministrate nel lontano 1982, ma soprattutto considerando pienamente tempestiva la domanda d’indennizzo presentata in quanto, né in occasione del primo rilievo di sieropositività, né successivamente, i sanitari che l’avevano in cura le avevano mai prospettato la possibile origine post-trasfusionale della patologia
La decisione del tribunale di Pavia non appare certamente eccentrica, ma piuttosto sembra pienamente in linea con le recentissime ordinanze della Corte di Cassazione nn. 3693, 5288 e 5289 del 2016 che hanno appunto ribadito il principio per cui la mera consapevolezza della sieropositività ed eventualmente anche della malattia non è sufficiente a far decorrere il termine di decadenza triennale per la presentazione della domanda d’indennizzo
Tribunale di Pavia, Sezione Lavoro, sentenza 10 maggio 2016, n.186 – privacy
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